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Oggi abbiamo intervistato per voi un familiare di un paziente con Rettocolite Ulcerosa che ci ha raccontato cosa vuol dire sostenere il suo familiare, con tutti i suoi risvolti psicologici, emotivi e relazionali.
Lei era già presente nella vita del suo familiare quando si sono manifestati i primi sintomi della malattia? Se sì come li ha vissuti?
Sì ero già presente quando sono iniziate le prime scariche con sangue, ma all’inizio non ce ne preoccupammo molto, non credevamo fosse grave.
Durante la diagnosi era presente? Il medico ha spiegato anche a lei in cosa consisteva la malattia? Se non c’era, come si è sentito quando il suo familiare le ha dato la notizia di avere una malattia cronica?
No non ero presente al momento della diagnosi, me la riferì il mio compagno una volta tornato a casa. All’inizio sapevamo solo che la malattia consisteva in ulcere intestinali, ma non avevo capito che si trattasse di una potenziale malattia cronica; credevamo che col cortisone la malattia sarebbe scomparsa. Quindi, ancora una volta, non ricordo di essere stata particolarmente preoccupata, e all’inizio la nostra vita proseguì in maniera abbastanza normale.
Ha la possibilità di usufruire di un supporto psicologico dell’ospedale?
No, nessuno me ne ha mai parlato.
Cosa ha comportato la malattia nella vita sua e del suo familiare? È cambiato qualcosa?
Sì, la malattia ha progressivamente cambiato la nostra vita. All’inizio si trattava solamente di maggior tempo passato in bagno, poi quando le scariche diventarono progressivamente più frequenti le nostre abitudini iniziarono a cambiare: i momenti per uscire divennero meno frequenti o meno lunghi, prepararsi per uscire diventava problematico e ogni volta che uscivamo dovevamo correre in cerca di bagni. Questo comportò una modifica nel nostro tempo libero e provocò dei momenti di tensione o preoccupazione.
Il suo familiare ha mai avuto delle recidive? Che periodo era nella vostra vita? Come avete gestito la ricomparsa dei suoi sintomi?
Sì ci furono spesso recidive, spesso talmente intense da condurre a vere e proprie ospedalizzazioni. Non era un periodo particolare della nostra vita insieme. Era impegnativo gestire le ricadute poiché il mio compagno stava molto male tanto da non poter uscire da casa e questo comportava, oltre a un maggior carico di lavoro a casa per me, anche l’impossibilità di uscire e vedere gli amici, con un grosso carico di stress e preoccupazione correlati.
Come è riuscito a sostenere emotivamente il suo familiare in quei momenti?
A volte riuscivo effettivamente a stargli accanto, cercando di dargli speranza o comunque cercando di non fargli pesare la difficoltà della situazione. In altri momenti invece non nego di aver provato una forte rabbia e un senso d’impotenza e disperazione, che anziché migliorare peggioravano la situazione.
Com’è cambiata la vostra relazione e il suo modo di relazionarsi al familiare?
Con la malattia gradualmente cominciai a sentirmi più un’infermiera o un’assistente che una compagna; era come se nella relazione si fosse creata una sproporzione, dove da una parte c’era maggiormente un dare e dall’altra maggiormente un ricevere. La malattia inoltre iniziò gradualmente ad occupare quasi interamente pensieri e dialoghi, fino ad invadere in alcuni momenti quasi completamente la nostra vita.
Ha paura o si sente fiducioso sul futuro della vostra relazione? Come si vede fra 10 anni?
Sicuramente sono fiduciosa sul futuro della nostra relazione; il peggio ormai è passato e ce l’abbiamo fatta. Non so bene come mi vedo fra dieci anni, ma sicuramente so che la malattia non è più un ostacolo per la nostra vita insieme.