Immagine di copertina: janeannpeters da Pixabay
Oggi abbiamo intervistato per voi un familiare di un paziente che ha affrontato un intervento con conseguente stomia, che ci ha raccontato cosa vuol dire sostenere il suo familiare con tutti i suoi risvolti psicologici, emotivi e relazionali.
Si ricorda il momento in cui il medico vi ha comunicato la necessità dell’intervento per il suo familiare? Come lo ha vissuto?
Sì, me lo ricordo molto bene. Era da mesi che il mio compagno aveva continue ospedalizzazioni dovute alle ricadute, e da un mese stava davvero male tanto da non poter mangiare più nulla. L’ultima colonscopia aveva rivelato che la malattia stava peggiorando e che i farmaci non stavano facendo effetto, e ormai ci eravamo preparati al peggio. Ricordo ancora la mattina in cui andammo insieme nel reparto di chirurgia: quando vidi la scritta ‘Chirurgia generale’ provai un brivido di paura, ero davvero molto spaventata e agitata. Il chirurgo ci spiegò molto bene il procedimento, le tre operazioni necessarie per rimuovere il colon, creare una pouch e infine ricanalizzare il tutto. Quando uscimmo da lì mi veniva da piangere, ma cercai di trattenermi. Mi sembrò di entrare in un incubo.
Come sono state le settimane / giorni prima dell’intervento? Quali erano le sue paure / pensieri ricorrenti?
Le settimane prima del primo intervento furono molto dure, poiché il mio compagno fu ricoverato per un mese prima dell’intervento, stava davvero molto male. Ero molto preoccupata per le sue condizioni di salute e per l’intervento; sapevo che sarebbe andato tutto bene, ma la paura che lui stesse male era davvero molto forte.
Come è riuscito a sostenere emotivamente il suo familiare in quei momenti?
Cercavo di reprimere la mia paura e fargli sentire il più possibile la mia vicinanza. Ogni giorno ero con lui in ospedale e cercavo di rimanerci il più a lungo possibile. Cercavamo insieme di distrarci facendo progetti per il futuro. Il giorno prima dell’intervento il medico aveva ‘incollato’ una sacca da stomia sull’addome del mio compagno, per farlo abituare all’idea. Vederlo con la sacca fu molto duro e in quel momento iniziai a capire che ciò che ci avevano raccontato stava per realizzarsi per davvero, e non saremmo tornati indietro. Eravamo entrambi spaventati, ma anche intenzionati a far sì che un sacchettino non cambiasse nulla tra noi.
Come ha passato il tempo e che pensieri aveva durante l’intervento? Qual’era la sua maggiore paura?
Durante l’intervento cercai di distrarmi leggendo e facendo cruciverba; cercavo di non pensare a quello che stava accadendo e soprattutto evitavo di pensare a tutto ciò che sarebbe potuto andare storto. Mi fidavo comunque dello staff medico e questo mi dava maggiore sicurezza. La mia maggiore paura era che qualcosa potesse andare male e che ci fossero complicazioni, soprattutto poiché il mio compagno era molto debilitato.
Era presente quando il suo familiare si è svegliato? Ci vuole raccontare qualcosa?
Sì, ovviamente ero presente. Mi fece molta impressione vederlo uscire dalla sala operatoria con molti tubicini attaccati all’addome, e mi faceva un certo che vederlo ancora addormentato. Al tempo stesso fu però un grosso sollievo vedere e sapere che stava bene, anche se ero ancora molto agitata.
Quanto tempo è durato poi il ricovero post – operatorio? Lei come lo ha vissuto?
Il ricovero post-operatorio purtroppo durò per ben un mese, poiché vi furono varie complicanze post-operatorie. Fu un periodo molto duro per me, poiché alla preoccupazione per la salute del mio compagno si aggiungeva anche la fatica fisica di recarmi quotidianamente in ospedale, e rimanervi per molte ore. Quella situazione per me era molto estraniante, poiché la mia vita normale era stata completamente sovvertita e vivevo in una condizione come di limbo, sospesa tra uno stato di continua agitazione per le notizie mediche che via via arrivavano e uno stato quasi di alienazione da me stessa. In alcuni momenti mi sentivo talmente esausta ed estraniata da non aver saputo nemmeno dire come mi chiamavo. Senza l’aiuto concreto ed emotivo dei miei familiari ed amici non ce l’avrei mai fatta. Continuare a lavorare e a coltivare degli hobby fu per me la salvezza, in un momento in cui avevo bisogno di sentirmi ancorata alla realtà e a un minimo di normalità.
Si è sentita sostenuta dall’equipe medica? Aveva la possibilità di usufruire di un supporto psicologico dell’ospedale?
L’equipe medica era presente nel momento in cui avevamo bisogno di notizie mediche. Non ho avuto la possibilità di usufruire di un supporto psicologico dell’ospedale.
Per quanto tempo il suo familiare ha dovuto convivere con la stomia?
Fortunatamente solo per otto mesi, che furono comunque lunghissimi.
L’equipe medica le ha fornito adeguate istruzioni su come gestire la stomia del suo familiare? Lei è riuscita ad aiutare effettivamente il familiare in questo? Come lo ha vissuto?
Sì, l’equipe medica ci spiegò molto bene come gestire la stomia e fu sempre presente ogni volta che avevamo bisogno di aiuto da questo punto di vista. Avere un infermiere o uno stomatoterapista di riferimento è fondamentale in questi momenti, poiché imparare a convivere con la stomia non è semplice e vi sono varie difficoltà da affrontare. Riuscii sempre ad aiutare il mio compagno nella gestione della stomia, ed imparai ad effettuare medicazioni anche lunghe e impegnative correlate ad essa. Vedere la stomia non fu affatto semplice. All’inizio mi fece molta impressione, e dovetti fare un grosso sforzo per riucire ad effettuare le medicazioni necessarie senza sentirmi male. Per quanto mi imponessi di non far trasparire alcuna emozione, credo che comunque il mio compagno abbia percepito qualcosa. Pensai che nessuno avrebbe mai dovuto vedere quello che io ho visto. Devo ammettere che ci furono momenti molto difficili nei quali mi sentii arrabbiata o disperata, poiché sembrava che le difficoltà non avessero mai fine.
Oggi che l’iter è terminato e il suo familiare non ha più la stomia, avete ripreso una vita normale? Lei come si sente nei confronti della malattia? Come è stato rivivere con quest’intervista la malattia? Come vi vedete fra 10 anni?
Sì, finalmente abbiamo ripreso una vita normale. Quando usciamo dobbiamo sempre calcolare che lungo il percorso ci siano dei bagni, ma è una situazione gestibile.
Ripensare all’intervento con questa intervista non è stato semplice, poiché sento di provare ancora emozioni di dispiacere e tristezza nel rivivere quei ricordi. Purtroppo si è trattato di una malattia arrivata a livelli talmente estremi da diventare invalidante, ed è durata per davvero tanti anni; passammo ben due anni ad affrontare riacutizzazioni e ospedalizzazioni, e infine i tre interventi. Furono due anni in cui la nostra vita fu completamente stravolta, non mi ricordavo più cosa volesse dire avere una vita normale poiché la malattia ci aveva completamente tolto la possibilità di avere un minimo di normalità.
Fortunatamente non tutti coloro che soffrono di queste malattie arrivano all’intervento. Per chi ci arriva c’è bisogno di molto aiuto e sostegno non solo da parte della famiglia, ma anche da parte di psicoterapeuti. Non si può affrontare tutto questo da soli.